“Di fiore in fiore: storie di uomini e api” è la prima conferenza-dialogo della rassegna, ideata e organizzata dall’associazione culturale Alteritas Trentino, intitolata “CiBiAmo la MENTE”.
Caratteristica principale di questi incontri è il confronto tra specialisti di differenti discipline (ad esempio l’archeologia e l’entomologia) che dialogando, anche con il pubblico, racconteranno come per millenni l’uomo ha interagito con l’ambiente circostante e con gli insetti e gli animali che lo hanno popolato e lo popolano, al fine di ottenere prodotti utili al suo sostentamento.
La prima conferenza-dialogo, che si terrà sabato 1 agosto 2015 a Lavarone – presso la biblioteca “Sigmund Freud” e presso il Museo del Miele (Fam. Marigo) – è dedicata alla pratica dell’apicoltura dall’antichità alla contemporaneità: Franco Nicolis (archeologo, direttore dell’Ufficio Beni archeologici della Soprintendenza per i Beni culturali della Provincia autonoma di Trento) spiegherà, utilizzando alcune suggestioni, come l’uomo, sin da tempi remotissimi, ha “consumato” i prodotti apistici (miele, propoli, cera e pappa reale) confrontandosi con il complesso, affascinante e per alcuni aspetti misterioso mondo delle api. Paolo Fontana (entomologo dell’Unità Protezione piante e Biodiversità della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige) ci guiderà invece nella conoscenza di questi insetti socialmente organizzati in vere e proprie caste, precisissimi costruttori delle loro dimore e formidabili danzatori/comunicatori. In conclusione si affronterà il tema dell’apicoltura moderna e contemporanea che permetterà di creare un vero e proprio passaggio alla seconda parte dell’evento che avrà luogo presso il Museo del Miele (Loc. Tobia – www.museodelmiele.com). Qui grazie alla visita guidata di Amelio Marigo i partecipanti potranno vedere “dal vivo” – all’interno di una speciale arnia di vetro – una colonia di api, riconoscere le varie tipologie di bugno e di arnie, visionare affumicatori provenienti da differenti aree geografiche e strumenti legati alle differenti fasi del ciclo del miele (produzione, raccolta, decantazione e immagazzinamento).
L’archeologia
“(…) e il miele è sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno […]”
ARISTOTELE, HISTORIA ANIMALIUM, 5, 22, 553b
Il miele come fluido sacro e le api come mediatrici tra il mondo divino (celeste e sotterraneo) e quello umano: questa è la concezione degli antichi, Greci in particolare, dalla quale però non si discostavano le altre tradizioni culturali del Mediterraneo e dell’Europa dell’antichità.
Non solo miele… l’uomo, sin da tempi remotissimi ha sfruttato, per differenti usi, i prodotti delle api tra i quali anche la propoli, la pappa reale e la cera.
La raccolta di miele prima e la produzione, tramite allevamento, poi hanno sicuramente rivestito un ruolo molto importante nella vita dei popoli antichi. Purtroppo il dato archeologico cioè le testimonianze materiali della sostanza (miele, cera, propoli), degli strumenti utilizzati per la raccolta (affumicatori e coltelli), dei contenitori per la conservazione e/o il trasporto (olle, anfore, recipienti vitrei ecc.) è a oggi lacunoso e spesso di difficile interpretazione.
Come ricordato da Daniele Manacorda nella presentazione del volume intitolato “Archeologia del miele” di Raffaella Bortolin: “…la nostra disciplina [l’archeologia] è l’arte di capire ciò che è rimasto a partire da ciò che è scomparso”. “Ciò che è scomparso” – ad eccezione di alcuni contesti che permettono la conservazione delle materie organiche – sono i manufatti in materiali deperibili (ad esempio oggetti in legno e/o in tessuto).
Accanto alle fonti iconografiche (incisioni rupestri) e materiali (frammenti ceramici con tracce di miele o di bevande al miele) attestate per la preistoria fanno la loro comparsa (per i periodi più recenti), in diverse aree e in differenti momenti, anche le fonti scritte (quali papiri egizi, testi greci, latini e bizantini) che raccontano gesti e consuetudini che sembrano rimanere immutate con il passare del tempo e avere tratti comuni anche in zone geografiche divise da “immense” distanze.
Il miele era per i popoli dell’antichità – tra i quali gli Egizi, gli Ittiti, i Greci, i Romani ma anche gli abitanti dell’Europa pre e protostorica – un alimento molto prezioso: cibo per gli dei, per i defunti, per coloro che prendevano parte alle spedizioni militari e/o commerciali oppure bottino di guerra.
Miele e prodotti apistici come componenti di corredi funerari non sono noti solo nelle tombe di faraoni o funzionari dell’antico Egitto ma anche in ambito alpino centro-orientale: significativo risulta a tal proposito il rinvenimento di un grumo di propoli all’interno della sepoltura del cacciatore-raccoglitore di Mondevàl de Sora (San Vito di Cadore Belluno, a 2150 m s.l.m.– www.museoselvadicadore.it/sezione-archeologica/) risalente al Mesolitico (circa 7500 anni da oggi). Sotto il pavimento di una capanna fu rinvenuto lo scheletro, in posizione supina, di un uomo di circa 40 anni “accompagnato” da un ricco corredo deposto, all’interno di “piccole sacche”, non conservatesi, adagiate lungo il fianco sinistro. All’interno di una di esse, accanto a oggetti in selce e in zanna di cinghiale, fu rinvenuto un grumo resinoso che, analizzato dai laboratori del CNR di Roma, risultò essere della propoli. La propoli veniva con ogni probabilità utilizzata per le sue proprietà antibatteriche e cicatrizzanti.
Se la propoli veniva consumata per usi quasi esclusivamente “farmaceutici” il miele veniva invece sfruttato in svariati modi:
– in ambito culinario come dolcificante, conservante e condimento ma anche come ingrediente per la realizzazione di bevande “spumeggianti” come l’idromele (miele e acqua) oppure dolci come il “mulsum” (vino e miele);
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in medicina non solo per scopi medicamentosi ma anche come antisettico, purgativo e cicatrizzante;
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nella cosmesi per la realizzazione di oli aromatici, profumi e unguenti;
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nelle attività artigianali ad esempio per trattare i semi amari prima della semina; per mantenere la brillantezza del colore della porpora nei tessuti oppure per rendere più lucenti e pure le pietre preziose.
Non solo dolcezze…. poiché il miele veniva utilizzato, come riportato da alcuni autori latini (quali Apuleio ed Eliano) anche come strumento di punizione in caso di adulterio: “[…] qualora uno giunga a operare in modo ardito, e non abbia agito per nulla secondo la legge, sia affidato nudo alla gogna presso il luogo di raduno per 20 giorni, gli sia versato sopra latte e miele affinché sia cibo per le api o le mosche, e lo divorino per il tempo appena detto” (AEL. Frg. 39 – trad. Bartolin 2008).
Anche la cera d’api è stata utilizzata sin da tempi remoti come testimoniato dall’uso di tale sostanza per “fissare” le figure in ocra rossa – raffiguranti soggetti umani, animali, vegetali, schematici e mani – rinvenute durante le ricerche archeologiche a Riparo Dalmeri (altopiano dei Sette Comuni, 1250 m s.l.m.: www.riparodalmeri.it) datate a circa 13.400 anni fa. In epoca storica, grazie alle fonti greche e romane, sappiamo che la cera d’api veniva utilizzata per molti scopi quali: l’imbalsamazione, l’illuminazione, la sigillatura, la pittura, la tessitura, la realizzazione di supporti scrittori, l’impermeabilizzazione di recipienti, per la fusione a cera persa ecc.
Gli antichi erano dunque ben consapevoli della ricchezza e della preziosità del lavoro delle api che consideravano infatti elementi sacri, simboli dell’anima, di purezza e di poesia.
Ne è un esempio l’inno omerico a Hermes che narra come tre vergini esultanti dalle rapide ali, con la testa cosparsa di farina bianca, abbiano insegnato in disparte la divinazione allo stesso Apollo fanciullo (vv. 552-7). E come esse poi, volando ora da una parte, ora dall’altra, si siano nutrite col miele dei favi e su ogni cosa abbiano dato profezie veritiere; e quando, per aver mangiato il biondo miele, sono prese dall’ispirazione, benignamente
consentano di rivelare la verità (vv- 558-61).
L’entomologia
(estratto dal testo del progetto Api per la biodiversità/Bees for Biodiversity): www.biodiversityassociation.org/wp-content/uploads/2015/04/Progetto-Api-per-la-Biodiversità-Bees-for-Biodiversity.pdf)
L’ape mellifera (Apis mellifera) è un insetto autoctono, suddiviso originariamente in numerose sottospecie, in Africa, gran parte dell’Europa e Medio Oriente. L’ape mellifera è un formidabile impollinatore ed è senza eguali proprio per le sue particolarità biologiche. È infatti un insetto sociale che vive in colonie permanenti (superorganismi) composte da diverse decine di migliaia di individui che vivono prevalentemente a carico di nettare e polline, sulla scia di un fenomeno di coevoluzione con le piante fanerogame. Questi aspetti fanno si che l’ape mellifera, molto più degli altri insetti pronubi, sia un organismo chiave per la conservazione della biodiversità vegetale e quindi per il mantenimento dei diversi ecosistemi. L’ape mellifera oltre che essere allevata fin dall’antichità è sempre stato presente ovunque come organismo “selvatico”. Purtroppo da oltre 30 anni, cioè dopo l’arrivo dell’acaro parassita Varroa destructor (coevolutosi con l’ape asiatica Apis cerana), questo non è più vero. Le api mellifere infatti non riescono a sopravvivere all’infestazione da Varroa e quindi solo le colonie sottoposte al controllo degli apicoltori riescono a vivere mentre quelle selvatiche soccombono più o meno rapidamente. Questo drammatico evento ha portato alla quasi totale scomparsa (almeno in Europa) degli alveari selvatici, con una grave perdita da un punto di vista genetico per la specie Apis mellifera, ma con gravissime ricadute sul servizio ecosistemico (impollinazione) svolto nei confronti della flora spontanea e coltivata. Nel 2014 l’IUCN (International Union for Conservation of Nature) ha definitivamente stabilito che Apis mellifera è un insetto gravemente minacciato di estinzione. La grave situazione dell’apicoltura deriva anch’essa in primo luogo dal nefasto trasferimento sull’ape mellifera dell’acaro Varroa, oltre che da situazioni ambientali come la perdita di habitat idonei e l’uso di agrofarmaci, ma un aspetto ancora drammaticamente trascurato è quello relativo al ruolo dell’ape mellifera per il mantenimento degli equilibri naturali. Se da un lato si stanno mettendo in campo più o meno adeguate forze per il sostegno dell’apicoltura, al fine di garantire sia la produzione di alimenti di pregio (miele, polline, pappa reale) che sostanze ad efficacia medicinale (propoli, veleno d’ape), sostenere un comparto produttivo e garantire l’impollinazione delle colture agrarie, poco o nulla viene fatto per ristabilire la presenza capillare dell’ape mellifera nei diversi ambienti. Da un punto di vista ecologico infatti è molto più efficace una rete diffusa di piccoli gruppi di colonie (con distanze di 3-5 km) piuttosto che assembramenti maggiori adatti prevalentemente a fini produttivi.